Il vento taglia la mia carne coi suoi coltelli di foglie impietosi di questo amato inverno come fece chi diceva di amarmi, in un altro inverno impietoso e sublime, nel grigio metallico di speranza che porta la neve, quando persi le mie antiche radici, avvolte a me, col loro paterno calore, che mai mi abbandonarono. Ora sento il male, il vuoto che mi concedesti con fare di saltimbanco, con le sue variopinte e nere maschere. Ogni maschera mi dolse perché ti portava lontano, quando io ti credetti lo specchio dei miei occhi, l’ombra di ogni mia speranza Ti cerco ancora per sentirti mio, come nei giorni in cui mietevamo il grano delle nostre infinite messi nell’estate calda della nostra felicità di contadini inconsapevoli.
Francesca Pierucci.
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