Camey Mosammet ha quindici anni, vive ad Ancona con i genitori e il fratello. Ha un fidanzatino della sua stessa età, Monir Kazi.. Camey è confusa, non è sicura che sia il ragazzo giusto per lei, ma continua a frequentarlo.
E’ la mattina del il 29 maggio 2010. Camey esce di casa per andare a scuola, ma il suo banco resta vuoto. Lo sarà anche l’indomani e i giorni a venire. Forse è scappata, forse è stata vittima di un malintenzionato, forse l’hanno rapita.
Non è Emanuela Orlandi, per lei nessun appello, tranne quelli dei familiari a “Chi l’ha visto”.
Per otto lunghi anni i suoi familiari continuano a sperare che sia viva da qualche parte, per conto suo, ma viva.
Poi, una mattina di maggio, qualcuno scopre in un pozzo dei frammenti di osso e una scarpa bianca a pochi passi dall’Hotel House, imponente grattacielo multietnico a Porto Recanati, dove un tempo alloggiava Monir.
Lì, in una specie di discarica dove negli anni sono stati gettati resti di vittime di faide e crimini sessuali, ci sono dei resti femminili che confermano i sospetti della procura di Macerata: Camey non è fuggita, è stata assassinata. Lo conferma il DNA. Monir l’avrebbe uccisa per gelosia
Ma ora Monir è lontano, nel nativo Bangladesh, dove l’Italia non ha accordi per l’estradizione, nondimeno viene rinviato a giudizio per omicidio e occultamento di cadavere.
La prima udienza é fissata per il 7 luglio 2021
Kella Tribi.
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