Siamo a Port Coquitlan, vcino a Vancouver.
Amanda Michelle Todd ha sedici anni, è carina, è intelligente, ma timida e ingenua. A scuola non è quella che si dice una ragazza popolare. Cercare con le videochat, il contatto con qualcuno che le presti attenzioni, non sa che è come offrirsi vittima sacrificale alla crudeltà altrui. Uno dei suoi amici virtuali la convince a spogliarsi davanti alla telecamera. “Dai, tanto non ci vede nessuno”. Lei finisce per eseguire, ignora di essere caduta nel ‘capping’ di uno dei tanti cybercrimini di oggi. Quando la foto è stata scattata, la vittima è costretta ad obbedire alle richieste del suo ricattatore, altrimenti la foto viene pubblicata su internet. Poi il giorno di Natale si ritrova la polizia alla porta: “Signori, online ci sono foto intime di vostra figlia”. Amanda va incontro a ansia e depressione. Non riesce a mangiare a dormire, non è mai serena, non si sente mai al sicuro. La situazione peggiora quando su internet spunta un account Facebook con il suo nome e la foto del suo seno come immagine del profilo. E così Amanda scende di un altro gradino la scala del dolore. Ora è esposta al pubblico ludibrio, agli insulti dei suoi compagni. A salvarla pare ci sia un vecchio compagno di scuola, l’unico che le mostri affetto. Amanda si prende una cotta, lui la invita a uscire, ma all’appuntamento la ragazzina trova tutti gli altri suoi compagni di classe. È solo uno scherzo, sono lì per prendersi gioco di lei. “Ma guardati, non piaci a nessuno!” sghignazzano. Poi passano alle violenze fisiche, la picchiano. Amanda rimane raggomitolata sul pavimento per un po’, è suo padre a trovarla. “Niente, papà, sono caduta”. E a casa beve la candeggina. Con il tentativo di suicidio i bulli guadagnano un’altra leva per farle del male. Cominciano a taggarla su Facebook con le foto di candeggina e acidi. Amanda va dallo psicologo, ma sta sempre peggio. Finisce in ospedale per abuso di farmaci. Quando sembra che non ci sia più niente da fare, si chiude nella sua stanza, accende la telecamera e racconta la sua storia di bullismo e abuso. È una richiesta di aiuto, un grido di dolore e rabbia, un sussulto di vita e dignità. Non funziona. Cinque settimane dopo la pubblicazione del video su Youtube chiude la porta della sua stanza e si impicca. E il 10 ottobre 2012. Dopo la sua morte il video diventa virale. Gli hacker di Anonymous rintracciano l’uomo, l’olandese/turco Aydin Coban che le estorse la foto con cui tutto è iniziato. Viene condannato a 10 anni per frode, aggressione sessuale e ricatto.
Kella Tribi.
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