Le perle nere di Kella.

Written By: bruno - Set• 25•22

L’ultimo incontro, quello per mettere la parola fine a una relazione, è un momento potenzialmente pericoloso per le donne, ed è stato coniato il termine femminicidio. Anche quando la parola non esisteva, le donne morivano per mano di uomini che mascheravano un’insana volontà di possesso dietro l’ingannevole apparenza di un grande amore. Come nel caso della contessa Giulia Trigona e del suo amante Vincenzo Paternò
L’11 agosto 1909, in una di quelle calde notti siciliane dove il profumo dei gelsomini stordisce la mente e illanguidisce i sensi, la contessa Giulia e il barone Paternò si conoscono al gran ballo che si tiene a Villa Igea. Lei è bellissima e un po’ malinconica, lui è giovane e aitante, fascinoso nella sua divisa da tenente di cavalleria. Tra i due si accende la scintilla. E’ un amore a prima vista, dominato da una passione che porta a infrangere le regole non scritte del decoro, quelle a cui una donna sposata deve necessariamente attenersi. Perché lei, Giulia, è maritata, e anche bene: il consorte è il conte Romualdo Trigona di Napoli, che appartiene a una famiglia di antichissima nobiltà
Ma la contessa e Vincenzo Paternò non nascondono la loro relazione e il conte Trigona non può far finta di ignorare le voci che circolano per Palermo
Intanto Vincenzo Paternò si rivela molto diverso da come appariva all’inizio: geloso e violento, fa scenate anche in pubblico, perché forse teme di perdere quella donna che, oltre alle sue braccia, aveva aperto per lui anche i cordoni della borsa.
Giulia è esasperata: non vuole riconciliarsi con il marito e non vuole più nemmeno quell’amante troppo geloso e ormai rabbioso. Lui, Paternò, capisce che la donna ha deciso di lasciarlo e la convince ad accettare un ultimo incontro. L’appuntamento è alle ore 12 del 2 marzo 1911, all’hotel Rebecchino, vicino alla stazione Termini.
Sa cosa vuole fare, e si prepara con cura il Paternò: nella mattinata compra un coltello da caccia, poi arriva in anticipo all’hotel, dove chiede la camera più appartata. Aspetta alla finestra che la carrozza di Giulia compaia, e quando la vede scende per andare incontro alla donna. I due salgono insieme, consumano un frettoloso amplesso e quando Giulia è girata di spalle lui vibra un fendente alla schiena, poi la trascina sul letto e la finisce con due coltellate alla gola. A quel punto, l’uomo impugna la sua pistola e si spara un colpo alla tempia
Finisce dunque nel sangue quella relazione che Giulia aveva definito, in un’appassionata lettera all’amante, “il solo raggio di sole della mia vita”.
Lei muore così, barbaramente uccisa a 34 anni, mentre lui, più giovane di due anni, sopravvive al tentato suicidio. Inizia un processo che, per l’efferatezza del crimine e per il ceto sociale della vittima, viene seguito dai maggiori giornali dell’epoca, in Italia e all’estero.
Alla fine, il 28 giugno 1912, arriva la sentenza: ergastolo. I giudici non hanno ritenuto credibile nemmeno il tentato suicidio di Paternò.

Kella Tribi.

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