Le perle nere di Kella.

Written By: bruno - Apr• 23•22

“Mi diceva sempre che ero bella. È bello quando ti dicono che sei bella. Ti senti di essere qualcosa. Invece non sei niente”. Carmela Cirella aveva 12 anni e un’identità incerta che lei cercava di scolpire con la frase ‘Io so’ Carmela’. La ripeteva sempre, la scriveva sulle pagine dei suoi quaderni: ‘Io so’ Carmela’. Come se avesse bisogno di convincersi di essere qualcosa, qualcuno, una persona vera e viva e abbastanza consapevole da fermare l’altro quando osava quello che non era consentito.
Perché nel 2006 Carmela era stata vittima di un tentativo di violenza, ma la giustizia aveva archiviato, non c’erano prove. E Carmela si era raccontata che forse era anche un po’ colpa sua, così aveva avuto bisogno di ripeterselo. “Io so’ Carmela”. L’avevano messa in comunità, a Taranto, lei era scappata per quattro giorni, dal 9 all’11 novembre. Si era imbattuta in un ragazzo che aveva abusato di lei e poi l’aveva ‘passata’ a un 46enne, come un sigaretta, per farsi un giro.
Carmela era riuscita a fuggire rivolgendosi a un amico, pensava di essere in salvo, al sicuro, invece anche lui aveva abusato di lei. Fuggita per la seconda volta, era incappata in due ventenni di Acireale, due ambulanti che l’avevano trascinata sul loro camper e avevano abusato entrambi di lei. Dopo novantasei ore di torture, finalmente Carmela era approdata in un pronto soccorso. Sul referto si parlava di violenza sessuale. Carmela venne messa in comunità, dove, senza il consenso della sua famiglia cominciarono a somministrarle psicofarmaci pesanti. Il 15 aprile del 2007, a 13 anni e dopo pochi mesi dalle violenze, aprì le porte del balcone e volò giù, gridando: “Io so’ Carmela”. Sette anni dopo, Filippo Landro e Salvatore Costanzo, i due violentatori del camper, vennero condannati a nove e dieci anni di reclusione, rispettivamente, per lo stupro della piccola Carmela. Assolto, per non aver commesso il fatto, il quarantaseienne. Quanto agli altri due abusatori, all’epoca minorenni, se la cavarono con una messa alla prova. Il processo agli adulti, invece, si basò in parte anche su un documento autografo, un quaderno appartenuto a Carmela: ”Ho cominciato un diario, l’ho chiamato la storia più brutta della mia vita”, aveva iniziato a scrivere. Dentro c’erano tutte le verità che hanno portato alla sentenza nel 2014, appena in tempo perché il papà di Carmela avesse giustizia. Poi papà Alfonso è morto.

Kella Tribi

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