Giuseppe Fortunino Francesco.

Written By: bruno - Ott• 13•13

Verdi lo si capisce meglio se si visita la sua casa natale,le scalette,la piccola osteria,la stalla dei cavalli di posta,il tetto al primo e ultimo piano con i coppi a vista.La ragazza che  spiega la casa dice che i Pallavicini avevano importanti architetti e, quella umile stazione di posta con annessa osteria sarebbe,secondo lei,sarebbe stata progettata da un architetto,per un archetto che dal pianterreno al primo e ultimo piano sale.Avrei voluto domandare il nome dell’architetto,ma non mi è parso opportuno mettere in imbarazzo la giovane guida.Chissa’ che freddo,che gelo, il giovane Verdi ha affrontato salendo di fretta le scale scaldate dalla stalla,scaldata, quando c’erono cavalli in sosta,in fretta, per andare a dormire nella piccola stanzetta divisa con la sorella down, sorella dimenticata,impronunciata,come non vissuta.Il padre era un oste , tirava a campare,forse beveva e cantava,cantava con gli avventori dell’osteria,la madre piacentina,Luigia Uttini filatrice,doveva tenere a bacchetta quella isoletta sonora nella pianura.Il padre, con cui Verdi aveva un rapporto di contrasto gli aveva regalato pero’,ancora bambino, una spinetta,al padre piaceva la musica e il canto e questo dono lo rivela sensibile verso un bambino che fece della musica la ragione della sua vita.Proprio davanti all’osteria, la chiesa,altra isola angelica  per il compositore.Da una parte il fumo del sigaro e dall’altra il fumo dell’incenso e il canto celestiale.Questi due elementi ricorreranno sempre nell’opera verdiana,basterebbe ricordare il preludio della Traviata per camminare su di un terreno etereo sollevato appena sopra le nebbie padane.Ma Verdi è  voce,la voce,quella voce che ha dominato tutti i suoi giorni infantili,quel sapore, anche di banda che traspare in sottotraccia.La sua casa,la sua gente ,con le loro voci che si è portato dentro per tutta la vita.Come dimenticare “libian nè i lieti calici” e non pensare subito a quella  sua casa,come dimenticare che il canto e la musica di Verdi sono un anelito, un ansimare,un rincorresi,di umanissimi spasimi e gioie e pienezza umana che sa di terra e di vita di pianura.Se, in Wagner i mezzi sono rarefatti a volte prolissi,complessi e grandiosi,con una strumentazione destrutturata musicalmente,senza arie o forme legate alla tradizione,in Verdi tutta questa tradizione viene esaltata ossificata,umanizzata, con personaggi a tutto tondo.Verdi scolpisce i suoi personaggi  e le sue arie a colpi di scalpello,scolpisce,in un legno morbido e profumato,almeno fino all’Otello o il Falstaff,Falstaff che finisce,occorre ripeterlo  con:”tutto nel mondo è burla”.Nella sua modesta casa di Roncole, con un padre oste parmigiano, ed una madre piacentina,Luigia Uttini ,cresce il giovane Giuseppe Fortunato Verdi,accompagnato da una sorella che tenevano nascosta,cresce al freddo ed al caldo di pianura,nel verde rigoglioso, cresce il compositore, accompagnato dal fumo di tabacco e dall’aroma di incenso.Incenso che non lo muto’ poi tanto, se convisse con la Strepponi gia’ madre di un figlio ma che lui volle a dispetto di tutto e di tutti.Solo oggi comincio a comprenderlo,capirlo amarlo,Francesco  Fortunino Giuseppe Verdi.

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