Le perle nere di Kella

Written By: bruno - Lug• 10•21

Era il 29 dicembre del 2000; Maria Scarfò, 36 anni, titolare di un bar in zona Quadraro a Roma, stava per concludere la sua giornata. A casa l’aspettavano il marito e sua figlia, Maria non vedeva l’ora di tornare. Poi Sandro, suo marito, aveva ricevuto una strana telefonata: “Ho avuto un disguido, faccio tardi”. La voce era strana, ma lui non ci aveva dato peso, forse era solo stanca. Maria aveva chiuso il bar ed era salita a bordo della sua Golf nera, ma non al posto del guidatore, si era messa sul sedile del passeggero. Al posto di guida, qualcuno aveva visto un uomo sconosciuto. Al suo fianco, Maria rigida, con il volto teso.
Quella notte non sarebbe rincasata. Le ricerche a Roma erano andate avanti a lungo senza neanche lo straccio di un indizio: dal Quadraro Maria si era come volatilizzata. Poi la telefonata: è stato ritrovato un corpo femminile su una piazzola di sosta della autostrada del Sole, Roma-Napoli. Non aveva i documenti né la borsa, Sandro aveva stentato a riconoscerla, tanto era massacrata, ma era lei, Maria. Violentata e poi uccisa brutalmente con 40 colpi inferti con un oggetto pesante.
L’auto di Maria era stata trovata bruciata la mattina seguente poco distante da casa di lei. L’assassino aveva guidato fino a Caianello, aveva abbandonato il cadavere e poi aveva fatto ritorno a Roma. Le indagini si concentrarono sui clienti del bar, sugli avventori occasionali, sugli amici e i vecchi amori di Maria, ma niente. Dopo un grande clamore iniziale il caso sembrava destinato alla polvere degli archivi, tanto che trascorsero ben sette anni prima che Giovanna Petrocca, vice dirigente della squadra mobile, trovasse una pista interessante. Dal Dna sugli indumenti di Maria si era risaliti al profilo di un uomo, Sabatino D’Alfonso, già pregiudicato per violenza sessuale. Sette anni prima, detenuto in permesso, sotto minaccia di una pistola aveva costretto quattro studentesse in medicina a guidare fino a Caivano, dove aveva tentato di abusare di loro. Qualcosa era andato storto, si era spaventato e le ragazze erano fuggite. Non era il solo crimine sessuale di cui si era macchiato. Un studio del curriculum del napoletano D’Alfonso avrebbe permesso di ricostruire che tra un arresto e un’evasione dei domiciliari aveva passato la vita a violentare e molestare. Quando gli è stato notificato l’arresto per l’omicidio di Maria Scarfò si trovava già in carcere.
“Questa notizia non ci restituisce mia sorella, ha commentato il fratello di Maria Scarfò, ma almeno dà giustizia e onore alla sua memoria”.

Kella Tribi.

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