Quello di Daniela Roveri, manager di Bergamo sgozzata sotto casa quattro anni fa, potrebbe definirsi un delitto perfetto.
La vittima Daniela, 48 anni, dirigente di una piccola impresa che produce materiali per il trattamento delle ceramiche, la Ikra Italia di S.Paolo d’Argon vive insieme alla madre, da quando il papà è venuto a mancare.
La vita di Daniela è estremamente tranquilla: le amiche, la palestra, la relazione con uomo con un alibi granitico, occupano il suo tempo libero; qualche viaggio, nessuna spesa pazza. Una donna con una vita regolare, metodica.
Fino a quando la sera del 20 dicembre 2016 alle ore 20,30 viene uccisa con una coltellata alla gola mentre rientra dalla palestra. Viene aggredita alle spalle, immobilizzata e colpita con un solo fendente, preciso e molto profondo, la gola tagliata da un orecchio all’altro. Il lavoro di un professionista, fatto a regola d’arte. Senza lasciare tracce, senza far sanguinare la ferita, se non con il cadavere a terra. Senza che alcuna telecamera potesse riprendere qualcosa di utile per le indagini. La borsa di Daniela sparisce con all’interno il cellulare.
Daniela, lo diranno le indagini, era stata colta di sorpresa, aggredita con un coltello con precisione e rapidità da qualcuno che conosceva le sue abitudini, che aveva “preso le misure” di quel delitto come un sarto prima di cucire un vestito. Sul corpo di Daniela, quasi decapitata da quella feroce coltellata, viene trovato un DNA maschile che non corrisponde a nessuno di quelli prelevati ad amici, conoscenti e parenti della vittima.
Un vero mistero. Il suo cellulare, rimasto acceso 36 ore dopo il delitto, è stato individuato a pochi passi dal luogo del crimine. Le indagini hanno girato a vuoto per quattro anni fino all’inevitabile archiviazione. Se i delitti perfetti esistessero, quello di Daniela Roveri ci assomiglierebbe molto, ma non esistono. Ci sono solo indagini imperfette.
Kella Tribi.
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