Cristina Palazzani, 16 anni, fu uccisa dal fidanzato Antonio Castigliano, di anni 25. Venne ritrovata senza vita il pomeriggio del 2 agosto 1992, in una carraia appena fuori Parma, nella frazione di Viarolo. Era morta da un giorno, forse due
“Venite a prendermi, ho ucciso una persona” disse Castigliano alla centrale operativa di Parma. I Carabinieri e gli infermieri giunti sul posto, non poterono far nulla per la ragazza, mentre trovarono il giovane stravolto, intontito, gli occhi fissi e allucinati, sporco e sudato.
Cristina e Antonio si erano conosciuti terminate le medie, lavoravano entrambi in una pizzeria di Trenzano, un paese della bassa bresciana, dove lei viveva con la famiglia. Lui era nato a Bacoli, in provincia di Napoli, ma risiedeva a Leno nel Bresciano, non molto distante da Trenzano. Andò tutto bene finché lui non divenne consulente finanziario: il suo improvviso benessere aveva insospettito la famiglia di lei.
Cristina voleva aspettare almeno il diciottesimo anno per sposarsi, ma lui voleva fare le cose in fretta, voleva farla diventare sua moglie e la sua segretaria. I genitori di lei però non erano tranquilli, ricevevano telefonate e a volte anche visite da parte di alcuni creditori. Quindi l’8 luglio il giovane escogitò una fuga d’amore, la cosiddetta “fuitina”, e scappò insieme alla fidanzata.
Per accelerare il matrimonio o la prima violenza sulla ragazza? Che comunque telefonò ai genitori dalla Svizzera, dicendo di stare bene, di alloggiare in un grande albergo. La ragazza venne invece rintracciata a Bologna il 28 luglio e rimandata a casa.
Il venerdì successivo, 31 luglio, Cristina ebbe soltanto il tempo di vedere per l’ultima volta la figlia in vita mentre sfrecciava via su una Fiat Uno bianca guidata dal Castigliano, l’auto dove poi la malcapitata aveva trovato la morte, strangolata con la cintura di un accappatoio, il 25enne vegliò sul corpo esanime e tentò un patetico suicidio con gli antibiotici
Sembrava un bravo ragazzo, si faceva voler bene, ma evidentemente così non era. Negli ultimi tempi stava addosso alla povera Cristina, l’aveva convinta a lasciare il coro dell’oratorio, la squadra di pallavolo. Lei timida, forse succube, lo aveva assecondato. Il giovane si sarebbe pure messo in guai finanziari, qualcuno parlò di assegni falsi.
Dopo il fermo, difeso da un avvocato d’ufficio, Manfredo Lazzerini, rimase nel carcere di San Francesco, prima della convalida dell’arresto da parte del magistrato di turno.
Ad oggi non si conosce l’esito giudiziario dell’inchiesta che ai tempi fu avviata nei confronti del presunto omicida.
Kella Tribi.
Le perle nere di Kella.
Written By: bruno
-
Dic•
28•24
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