Le perle nere di Kella.

Written By: bruno - Lug• 08•23

E’ il 18 aprile 2011. Mancano 10 minuti alle 15 quando nell’ufficio del centralino del 113 di Teramo la voce di un uomo, dall’accento locale, parla del ritrovamento di un cadavere, nel bosco di Ripe di Civitella.
Il punto indicato dalla segnalazione è una macchia boschiva a due passi da un chiosco in legno gestito da Carlo N., un personaggio che nella zona tutti conoscono per le sue ‘nostalgie del Duce’. Ad alcuni metri dal chiosco, su un tappeto di foglie e aghi di pino, il volto rivolto in alto sotto un cielo di primavera, c’è una giovane donna. Si chiama Carmela Rea, ma in famiglia la chiamano Melania. È seminuda, il corpo straziato di ferite, il collo inondato di sangue e una siringa conficcata all’altezza del cuore.
È il fratello di Melania a precipitarsi per identificare la vittima, mentre il marito di lei, Salvatore Parolisi (‘Totò’, militare del 235°) riceve la notizia da un amico
I coniugi Rea sono soliti portare la loro piccola Vittoria, 18 mesi, a giocare sulle altalene del parco di Ripe. Era quello che avevano fatto il 18 aprile 2011, quando Melania si era allontanata dalle altalene per andare al bagno e non era più tornata
In una macchia di alberi, qualcuno l’aveva aggredita con un coltello. Il suo aggressore aveva prima tentato di sgozzarla, poi ne aveva accoltellato il corpo con 35 fendenti, fino a farla morire dissanguata e avea inciso sulla pelle dei segni simili a una svastica. L’aveva lasciata nel bosco, infine, distesa nel suo sangue con i gli slip e i collant abbassati sotto le ginocchia. L’immagine rimanda a un’aggressione sessuale, ipotesi che gli inquirenti scartano subito, perché Melania non aveva subito violenza sessuale.
Scartata l’ipotesi del maniaco, dunque, resta quella del fanatico, del neonazista che sfregia il corpo della vittima disegnando svastiche. Sono il tentativo di depistaggio del killer che, probabilmente, vista la vicinanza con il chiosco di Carlo, intendeva far ricadere su di lui, la colpa. Idem per la siringa conficcata a pochi centimetri dal cuore che, insieme al laccio emostatico, trovato sul terreno, avrebbe dovuto attribuire il crimine alla mano di un tossicodipendente.
Melania, figlia di un militare dell’Aeronautica, aveva perso la testa per questo militare che lavorava come addestratore in una caserma femminile. I ragazzi si erano sposati ed era nata una bimba, ma qualcosa non andava con Salvatore. Se ne accorse da una telefonata. Melania capì tutto e rintracciò la persona ci la telefonata era riservata. Lei, 26 anni, era un’allieva del marito e non negò di avere una relazine con il suo istruttore. Melania sprofondò nello sconforto, ne parlò col marito. Lui non negò, ma sminuì l’importanza di quella relazione. Melania lo perdona.
Pochi giorni prima di quel 18 aprile, dall’account fake ‘Vecio Alpino’ che usava per chattare con l’amante, Parolisi scrive: “Tu sei la cosa più importante, non preoccuparti, massimo una settimana poi Melania dovrà sparire dalla mia vista”. Il drammatico triangolo diventa un possibile movente per chi indaga e tre mesi dopo il delitto, Salvatore Parolisi viene arrestato
Nel luglio 2016 Parolisi è stato condannato a vent’anni di reclusione per l’omicidio di sua moglie. La corte di Cassazione ha confermato l’esito del secondo processo d’appello. Il militare, oggi detenuto, è stato degradato e la piccola Vittoria è stata affidata alla famiglia materna.
Quando è morta, Melania, indossava un braccialetto con il nome di ‘Salvatore’ e una catenina con incise queste parole: “Con te sarà sempre un nuovo giorno d’amore”.
Di questi giorni la notizia che Parolisi, dopo 12 anni di carcere, gode di permessi di uscita per buona condotta.

Kella Tribi

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