A pochi giorni dal Natale, quando le città dovrebbero riempirsi di luci e speranza, Cava de’ Tirreni si è ritrovata invece immersa nel buio più profondo. Domenica 21 dicembre 2025, nel primo pomeriggio, un appartamento di via Ragone è diventato teatro di un femminicidio brutale, di una violenza cieca e inaccettabile che ha strappato la vita ad Anna Tagliaferri, 40 anni, stimata imprenditrice cavese, e ha lasciato una famiglia devastata e un’intera comunità sotto shock. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Diego Di Domenico, suo coetaneo, si sarebbe scagliato contro la donna all’interno dell’abitazione con una furia inaudita. Un’escalation di violenza culminata in almeno otto coltellate, inferte tra addome, schiena e collo. Colpi ripetuti, deliberati, mortali. Colpi inferti contro una donna che l’uomo diceva di amare. Ma l’amore non uccide: qui non c’è amore, c’è possesso, c’è violenza, c’è annientamento. Nel disperato tentativo di salvare la figlia, è intervenuta la madre di Anna, Giovanna Venosi, 75 anni. Ha provato a fare da scudo con il proprio corpo, pagando anche lei il prezzo della ferocia: colpita con fendenti all’addome, con interessamento dell’intestino, è stata trasportata d’urgenza in ospedale e sottoposta a un intervento chirurgico immediato. Le sue condizioni sono serie ma non è in pericolo di vita. Si è fermata solo quando ha compreso che Anna era ormai riversa a terra, esanime, in un lago di sangue. Una scena che nessuna madre dovrebbe mai essere costretta a vivere.
Scoperto e in evidente stato di alterazione, l’assassino ha tentato la fuga. Ha raggiunto la tromba delle scale, si è avvicinato a una finestra, l’ha scavalcata per arrivare fino al tetto dello stabile e, pochi istanti dopo, si è lanciato nel vuoto. È morto sul colpo. Ma il suicidio non è una “uscita di scena” e non è una scorciatoia morale: non cancella l’orrore, non restituisce Anna, non attenua la responsabilità. È l’ultimo atto di chi, dopo aver tolto una vita, ha scelto di sottrarsi anche al giudizio terreno .
Kella Tribi
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