Il 18 marzo 2018, in un angolo di campagna vicino a Noto, il corpo di Laura Petrolito, Lauretta, venne trovato, incastrato tra lamiere arrugginite. Vent’anni appena, eppure già una vita fatta di speranze tradite e sogni periti, come le foglie secche sui bordi delle strade di Canicattini Bagni, tra le colline verdi della Sicilia orientale. Il paese che l’aveva vista crescere, tra silenzi e sorrisi finti.
Bella di quella bellezza che nasconde il dolore, Laura era una di quelle ragazze che imparano presto a vivere tra le crepe, con una forza silenziosa, eppure vulnerabile. Madre a sedici anni, solo per poco, prima che la sua bambina venisse affidata alla nonna paterna su richiesta dei servizi sociali. Una ferita mortale, ma anche senza figlia il suo cuore di madre non aveva cessato di battere. E lei di sorridere a quel futuro che non arrivava mai. Al suoi posto era arrivato lui, Paolo Cugno, 30 anni, operaio, un uomo complesso. Ma diceva di amarla. E l’aveva resa madre di nuovo. Finalmente la felicità. Invece.
Laura era sparita la sera del 17 marzo, quando l’ultima telefonata al padre non aveva ricevuto risposta. Il suo cellulare taceva. Il padre, uomo di fatica, che la vita non l’aveva mai risparmiata, lanciò l’allarme. Le ricerche durarono tutta la notte, tra strade sterrate e vecchi casolari. Il 18 marzo, l’alba rivelò la verità: Lauretta giaceva nel pozzo artesiano, con il corpo segnato da almeno sei coltellate.
E Paolo Cugno, 32 anni, operaio, il suo compagno, il padre del loro bambino di 8 mesi, era lì, a pochi passi da lei. L’aveva uccisa, con l’impeto di una aggressività che non conosceva confini. Gelosia il movente, se ce ne fosse bisogno. La giustizia avrebbe fatto il suo corso: 30 anni. Mai scontati, perché Cugno sarebbe morto sette mesi dopo, in carcere. Arresto cardiaco la causa, ma le indagini non hanno mai chiarito veramente.
Kella Tribi.
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