Attila alla Scala.

Written By: bruno - Dic• 08•18

Che Verdi con il suo Attila nell’ottocento compisse un operazione azzardata ma di regola nel mondo dell’opera d’allora evocando una romanità del tutto fuori tempo,”romanità”con arie e melodie fuori tempo ma che, quelle arie e quella musica fosse invece un prodotto estremamente originale e popolare per quell’epoca in cui Verdi operava è un fatto.Occorre tenere presente che l’evocazione dell’antico è sempre il suo fraintendimento,come è stato frainteso il Rinascimento rispetto al mondo classico originale.Il Falstaff,l’Otello,il Rigoletto,possono in qualche modo fare dimenticare l’epoca originale in cui avviene la vicenda,e che forse per l’uso si è fatta domestica per lo spettatore ma,ma quell’Attila romano è un pugno nell’occhio in quanto atmosfere “romane”.In quell’Attila però si sente tutto lo spirito di Verdi,l’originale il grande Verdi con il suo incedere ancora popolare,cosa a cui lui certamente ambiva e a quanto pare otteneva.Opera non popolarissima l’Attila la si sente poco,ma ricca d’arie (bellissime) e patriottismo tutto italico.Ora non so dove ho letto che ,una cantante d’opera ha confessato in questi giorni di aver cantato opere con frasi senza senso per vedere come reagisse il melomane “esperto ” pubblico e come l’esperto melomane pubblico non facesse una piega,questo per meglio spiegarci e spiegare un fenomeno di moda ma seguito da un esercito di ignoranti in tuta da sera.Tolto, alla grossa e chiarito il problema fra storia e musica,fra Roma e Verdi,dico subito che quella di ieri,la prima di Attila alla Scala con quella sua ambientazione in un ghetto (così mi è apparsa) di Vasavia al tempo di Hitler mi è sembrata (pur se accettabile) la solita versione riveduta per rivedere e corretta per correggere.A tempo di Verdi Roma era quella da cartolina però con tutta la sua italianità ribelle nei confronti dell’invasore e,questo messaggio sorpassava ogni contenuto visivo,così volevano i tempi,così voleva Verdi.Nel rivedere quell’Attila,quell’Attila alla Scala confesso che mi sono vergognato d’essere piacentino,piacentino che deve sorbirsi in questi giorni una Fondazione che ci passa un Annibale di rare virtù in barba a Roma,un elogio ad un nemico ad un invasore,un tunisino con i suoi elefanti,per il divertimento e il sollazzo di tanti ignoranti.

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